RICORDI. Il giornalista ucciso 22 anni fa
Tobagi, la ragione contro l’odio
di
Gaspare BARBIELLINI AMIDEI
(, 28 maggio 2002)
Ventidue anni dopo, mi domando quali sarebbero i temi e i
luoghi dell’attenzione giornalistica di Walter Tobagi, se
contro di lui non fosse riuscito l’attentato omicida delle
Brigate. L’eliminazione del miglior cronista del
Corriere della Sera fu un gesto mirato,
come è stato molto più tardi l’assassinio di Marco Biagi. La
criminalità politica serializza i suoi delitti, manifestando
una metodologia nella scelta delle vittime. C’è una coazione a
ripetere, che unisce stagioni di un terrorismo teso a
intimidire un intero ceto di riformisti. Si tolgono di mezzo
persone che risultano esemplari per la loro onestà
intellettuale e sono allo stesso tempo efficaci nello
smantellamento della irrazionalità estremista. Gente come
Tobagi, come Biagi e come D’Antona mette in sacco i nemici
della democrazia con la lineare pacatezza del lavoro. E con la
non esibita eccellenza professionale. Tobagi si mostrò
troppo intelligente, come analista dello scontro tra congiura
degli eversori e inadeguata risposta del mondo politico.
Fece paura. Questo è facile capire, ora che il tempo
trascorso e le passioni sedimentate consentono di fare storia,
al di là della vicenda giudiziaria. Ragionava, documentava.
Influenzò le scelte strategiche della direzione. Come pochi
sanno, scrisse anche editoriali non firmati, che
rappresentavano la linea del Corriere .
Ricordo i suoi articoli, privi di un retorico armamentario
lessicale, così simile dentro i comunicati delle Br e dentro i
commenti contro le Br. Tobagi cronista andò al cuore
dell’analisi: chi erano, come si organizzavano, quali
contraddizioni li indebolivano, quali coperture sfruttavano,
chi poteva manipolarli. Certamente vide dove altri non
riuscivano o non vollero vedere. Intese che c’era un metodo in
quella follia. Decifrò affinità e forse scoprì intrecci. Anche
Marco Biagi, in un’attività per molti aspetti contigua, seppe
andare alla radice di un problema rovente: come superare senza
danni sociali una fase di incomprensione fra le componenti
della dinamica produttiva del Paese. Oggi Tobagi, che fu anche
sindacalista e studioso del metabolismo sindacale, sarebbe
certamente operoso su un terreno simile a quello percorso da
Marco Biagi. Cercherebbe nuove soluzioni. Sarebbe, come fu
allora, paziente e coraggioso. Era capace di perdonare
ambiguità e invidie. Non odiò mai nessuno ma era consapevole
di quanto l’odio, anche solo verbale, fornisse retroterra ai
progetti della criminalità politica. Il suo atteggiamento,
sereno ma determinato, isolava gli eversori e sconcertava i
provocatori. Nei lunghi anni, molto mi ha colpito la
sottovalutazione del «caso Tobagi», cioè l’insufficiente
lettura della perdita subita dal mondo della comunicazione con
l’uccisione del giovane protagonista. Serve un eroe per dare
dignità alla logorroica diatriba sulla comunicazione. Citino
Tobagi. Era destinato a svolgere ruoli nevralgici, questo
è noto, perché univa capacità rare, la costanza nelle ricerche
sul campo, la logica nelle analisi e il coraggio nelle
esposizioni. In più, con una vita lontana dagli snobismi
intellettualistici e dalle protezioni importanti, dimostrava
assenza assoluta delle banali ambizioni altrui di salotti e di
«hit parade». All’interno della professione fu allo stesso
tempo «defensor», cioè commentatore efficace di sicura
indipendenza, e «gate keeper», cioè redattore in grado di dare
ordine alle notizie, di collocarle in un contesto rivelatore e
di proporle chiare al grande pubblico. Queste doti, quasi mai
altrove abbinate, erano pericolose per gli eversori. In essi
la tentazione di eliminare uomini così è ricorrente. Questo
sanno anche gli esperti di antiterrorismo. Ma al di là
della mediocre storia dell’eversione, Walter Tobagi merita di
essere conosciuto dalle nuove generazioni per motivi più
larghi. La sua giovane vita è modello didascalico di una
comunicazione moderna. Lo hanno fermato su una strada che è
ancora possibile percorrere. La sua implicita pedagogia
insegna ad avere successo nel giornalismo senza pagare il
costo dell’insignificanza e senza svaporarsi sulla pedana
della mondanità televisiva. Ha lasciato un diario che la
discrezione mirabile di una famiglia simile a lui ha sottratto
al tritacarne dei mass media. Sarebbe un giorno lezione civile
poterlo leggere sui banchi della scuola. Molti ragazzi dicono
di voler fare da grandi i giornalisti. Lo diventino come lui
fu.
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