GIANFRANCO MORRA
Chi volesse capire quali sono le sfide che attendono l'Occidente all'inizio
del nuovo millennio, non ha che da leggere una ricca e avvincente raccolta
di saggi: "Dalla società chiusa alla società aperta", appena edita da
Rubbettino. Ne è autore un professore di sociologia della LUISS, Luciano
Pellicani, fertile scrittore di storia politica. Già negli anni Settanta,
con i primi saggi dedicati al marxismo, Pellicani demitizzò il "bestione
trionfante". Erano gli anni del catto-comunismo e non era facile prendere
posizione contro. Il filo di Arianna che lega i saggi ora raccolti è la
superiorità dell'Occidente su ogni altra civiltà. Esso è una civiltà
"aperta", dove il massimo di libertà è possibile sulla base del primato
della persona sulla società, del pluralismo sociale, politico, religioso e
culturale. Non bastano la scienza e la tecnologia per produrre ricchezza, è
necessario anche un costume di libertà, che l'Occidente ha avuto in maniera
eminente. Pellicani rifiuta quel relativismo culturale, di cui si nutrono i
giottini solo per sputare sul piatto occidentale dove mangiano.
Fuori dell'Occidente c'è collettivismo e tirannia, intercalati da anarchia e
rivolte. Anche il marxismo, che pure era una ideologia occidentale, figlia
dell'illuminismo, di Hegel e dell'utopia socialista, finì per produrre il
collettivismo asiatico, cioè sottosviluppo e sterminio (circa cento
milioni). Ma il pericolo non si chiama più comunismo. Si chiama
fondamentalismo islamico. Col quale l'Occidente dovrà combattere a lungo.
Pellicani sa bene che non tutti gli islamici sono fondamentalisti, che anche
in Islam esistono gruppi che vogliono aprirsi alla democrazia, anche se
possono esprimere le loro idee solo con internet, che non mancano gruppi
islamici assai avanti sulla via dell'integrazione, che la Turchia da quasi
un secolo ha realizzato una difficile sintesi di islamismo e laicità. Ma sa
anche che il conflitto tra Islam e occidente è più forte dei singoli
musulmani, in quanto deriva da una antropologia religiosa incompatibile con
quella cristiana.
Non di rado il bersaglio polemico di Pellicani è Franco Cardini, le cui
posizioni neutraliste e terzo-mondiste si sono accentuate negli ultimi anni.
Pellicani sa che gli islamici non combattono le perversioni dell'occidente,
ma i suoi principi di libertà e tolleranza. Per questo non rifiutano solo la
religione cristiana, ma anche quella laicità che il cristianesimo aveva nel
suo DNA e che negli ultimi secoli della storia di occidente si è accentuata
al punto da tradursi in tolleranza religiosa. Ecco perché i fondamentalisti
islamici combattono ancora più dei cristiani quegli islamici non
fondamentalisti che sono aperti alla modernizzazione. Come fece l'ayatollah
Khomeyni nel 1979, quando cacciò in esilio lo scià "modernista" Reza
Pahlevi, che aveva "venduto l'anima" al Grande Satana d'Occidente.
Ecco perché la spiegazione dell'antioccidentalismo islamico in chiave
economica non quadra e quei cattolici che vedono nella povertà delle
popolazioni musulmane la prima causa del conflitto ragionano da marxisti.
Non è così. L'odio dell'islamico coinvolge la ricchezza degli occidentali
non già in nome di una giustizia sociale, che non c'è in nessun paese del
Dar al-Islam, ma proprio perché essa è fonte di corruzione e di ateismo.
Come si è espresso il fondamentalista algerino Abbasi Madani, leader del
Fronte Islamico di Salvezza, "l'Occidente, cieco e zoppo, ha rotto l'unità
di rivelazione e ragione, ha adorato la materia". La guerra non è fatta dai
poveri contro i ricchi, ma dai credenti contro gli infedeli: è una guerra
santa, voluta da Dio che "ha rimesso la terra ai musulmani". Pellicani
ritiene un errore quello di Cardini, che nel suo saggio "Noi e l'Islam" nega
che sia la "jihad" degli islamici, sia le crociate dei cristiani siano state
guerre sante.
Che, poi, anche la globalizzazione possa avere accentuato il
fondamentalismo, Pellicani lo sa bene. Il mercato mondiale non si limita a
produrre e vendere beni su scala planetaria, ma produce dei forti mutamenti
antropologici nel senso dell'unica civiltà-di-mercato della storia, appunto
l'occidentale. Diffusione della globalizzazione ed esplosione del
fondamentalismo islamico vanno di pari passo. Tanto che non è difficile
prevedere che i decenni futuri saranno caratterizzati da scontri violenti
tra la civiltà cristiana e quella islamica. Due civiltà che difficilmente
potranno convivere, dato che per l'Islam l'Occidente è ateismo e perversione
morale, mentre per l'occidente l'Islam è un dinosauro fossile.
Che fare? Pellicani non si esime dal proporlo. Anzitutto va rafforzata la
coscienza europea, diciamo pure l'orgoglio europeo. L Occidente, nonostante
difetti e colpe, ha realizzato la forma più ampia di società "aperta", nella
quale il benessere è stato figlio della libertà e del pluralismo. Società
aperta non significa "società perfetta", ma "società meno imperfetta delle
altre". Tale tradizione europea va difesa e fatta conoscere. Senza
imposizioni e, se possibile, senza guerra. Il pacifismo è un abito che non
costa niente e tutti possono indossarlo. Il vero problema è invece la pace.
Che oggi è in pericolo soprattutto a causa delle violente reazioni dei
fondamentalisti islamici contro i valori e le istituzioni dell'Occidente
(separazione tra stato e chiesa, primato della coscienza, laicità,
emancipazione femminile, democrazia), che si sono spesso tradotte in una
guerra ideologica contro quella civiltà liberaldemocratica, che esiste solo
nelle aree culturali cristiane.
Nessun razzismo, nessun imperialismo. Anzi, la ricerca della convivenza
delle culture, sul fondamento della difesa della propria. Ma senza illusioni
pacifiste o interetniche. La guerra dell'Islam contro l'Occidente non è
scoppiata l'11 settembre 2001, era già in atto e in crescita da più di due
decenni. Scrive Pellicani: "Con la Rivoluzione iraniana è iniziata l' "era
islamica", caratterizzata da un impressionante proliferazione di movimenti
fondamentalisti e di sette terroristiche che invocano la Guerra Santa contro
l'America e ciò che essa simbolizza. Certamente, gli attivisti del "Jihad"
non sono che una minoranza; ma, altrettanto certamente, essi esprimono il
diffuso risentimento che anima i musulmani nei confronti dell'occidente".
Dobbiamo cercare la pace, ma con realismo, consapevolezza e responsabilità.
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