Scenari controcorrente/Parla Charles Kupchan, politologo ed ex consigliere di Clinton. Il ruolo “regionale" della Cina,
il declino prossimo venturo dell’impero Usa. E la sorprendente ascesa del Vecchio Continente nella sua versione “allargata"
«L’Europa ko?
Macché, sarà
una superpotenza»
di
ROBERTO BERTINETTI
, 16 aprile 2003
«NON
credo affatto che l'Europa sia debole perché si
è divisa sull'intervento militare in Iraq e sul
ruolo dell'Onu. Penso, al contrario, che entro
poco tempo diventerà l'unica superpotenza in grado
di contendere agli Usa la leadership politica del mondo
globale». Charles Kupchan, docente di Relazioni
internazionali alla Georgetown University di Washington con
alle spalle un'esperienza di consigliere di Bill
Clinton, vede per il pianeta un futuro assai diverso da
quello proposto all'inizio degli anni Novanta da Samuel
Huntington, teorico di un possibile scontro di
civiltà tra Occidente e Islam, o da quello
immaginato oggi dai neoconservatori che difendono
l'unilateralismo della Casa Bianca e definiscono
l'Europa “un pigmeo sotto il profilo militare".
Per riassumere il suo punto di vista sui rapporti
transatlantici Kupchan ha scritto The End of the American Era, un saggio uscito lo scorso novembre da
Knopf, ampiamente citato e discusso durante le ultime
settimane da tutti i più autorevoli commentatori
statunitensi.
La tesi che Kupchan prova a dimostrare
con la sua lunga e dettagliata analisi va controcorrente
rispetto alle opinioni di altri studiosi. A suo
giudizio, infatti, gli Usa sono destinati ad
assistere nel corso dei prossimi anni al tramonto di molti
primati che attualmente vantano in campo economico o
scientifico e corrono il rischio di venire superati
dall'Europa. «Anche l’Impero Romano sembrava
invincibile prima del IV secolo. Poi si spezzò in
due, nacque l'Impero d'Oriente e Bisanzio
acquisì un'importanza in precedenza sconosciuta.
La storia conferma che l'inizio del crollo dei grandi
imperi coincide sempre con il punto della loro massima
potenza. Accadrà anche per gli Usa. E Bruxelles
potrebbe diventare la Bisanzio del XXI secolo»,
argomenta Kupchan in uno dei capitoli centrali di un libro
nel quale l'analisi del passato si intreccia con
l'indagine sul presente ed entrambe contribuiscono alla
definizione di un futuro possibile.
Professor Kupchan, sulla base di quali
elementi lei fonda la sua previsione di un ruolo
internazionale sempre più importante per l'Europa
nel corso dei prossimi anni?
«Nonostante non abbia ancora un assetto ben
definito sotto il profilo istituzionale, l' Unione
Europea costituisce un'entità politica
stabile, in grado di fare da contrappeso agli Usa sul
piano diplomatico. Senza contare che il prodotto interno
lordo dell'intero continente è di circa nove
milioni di euro, di poco inferiore a quello
americano, che entro qualche mese sarà definita
una bozza di costituzione, e che si discute sul
progetto di un leader eletto direttamente e di un unico
ministro degli Esteri. Certo, sotto il profilo della
forza militare la disparità resta notevole. Ma non
durerà a lungo. Perché la Nato sta vivendo i suoi
ultimi giorni e i governi europei saranno chiamati a
decidere come gestire la propria sicurezza.
L'America, del resto, mi sembra abbia ormai
avviato un processo di progressivo disimpegno militare
dall'Europa. Presto anche i paesi che ancora oggi
contano sulla protezione delle forze armate Usa dovranno
guardare a Bruxelles per mettere a punto un sistema di
difesa. Non credo, infatti, che Washington abbia
intenzione di costruire basi in Polonia o in Ungheria. La
nuova Europa che sta nascendo avrà un suo esercito e
una gestione comune della politica estera».
Come spiega la nascita di un sentimento
anti-americano in Europa e di un fastidio sempre
più evidente verso l'Europa negli
Usa?
«Ci sono molti motivi
alla radice del recente deterioramento dei rapporti
transatlantici. In sintesi, direi che per quanto
riguarda l'Europa pesa soprattutto l'unilateralismo
teorizzato dall'attuale amministrazione Bush, che
si è manifestato in particolare in una scarsa
attenzione nei confronti delle istituzioni internazionali.
La scelta di Washington di dire no alla firma del
Protocollo di Kyoto sull'ambiente e di polemizzare in
maniera così aspra con l'Onu prima
dell'intervento in Iraq ha fatto crescere
l'anti-americanismo già presente in Europa.
L'anti-europeismo statunitense è,
invece, alimentato dalla Casa Bianca. Mi sembra,
infatti, che Bush non perda occasione per presentare
l'Europa come un ostacolo per i suoi progetti, un
peso per l'America piuttosto che un
alleato».
Con Gore al posto di
Bush la politica americana avrebbe seguito una strada
diversa?
«Forse i rapporti
transatlantici sarebbero oggi migliori, ma esistono
interessi economici e processi demografici che spingono
nella stessa direzione sia i repubblicani che i
democratici. Se un candidato democratico dovesse vincere le
elezioni presidenziali del prossimo anno probabilmente i
toni polemici tra Washington e alcune capitali europee
avrebbero una minore intensità, anche se non credo
che sarà più possibile ricostruire il clima di
reciproca fiducia di un tempo. Io, del resto, avevo
completato la prima versione del mio libro prima della
sconfitta di Gore. L'arrivo di Bush e dei
neoconservatori alla Casa Bianca ha solo impresso maggiore
velocità ad un processo che era già in corso da
tempo. L'Europa ha acquisito una forza economica che in
precedenza non possedeva e ha una moneta in grado di
rappresentare una alternativa al dollaro sul mercato
internazionale delle valute. E’ dunque inevitabile che i
suoi interessi non coincidano più con quelli degli
Stati Uniti. Senza dubbio ci sarà una battaglia
politica. Con esiti difficili da prevedere, visto che
oggi non è ancora chiaro se si sta andando verso
un'amichevole separazione consensuale o se, al
contrario, dovremo fare i conti con una lunga e
difficile causa di divorzio. Mi auguro che si realizzi la
prima ipotesi, perché permetterebbe di ridefinire
in maniera non traumatica i rapporti
transatlantici».
Quale
sarà il ruolo internazionale della Gran Bretagna nei
prossimi anni?
«Mi sembra che
il tentativo di Tony Blair di costruire un ponte tra
l'America e l'Europa sia destinato al fallimento e
che in futuro non ci sarà più spazio per
l'antico "legame speciale" tra Londra e
Washington. Penso che l'Inghilterra si avvicinerà
all'Europa e che cercherà di diventare
protagonista sullo scenario continentale, magari
alleandosi con i Paesi dell'area orientale che stanno
entrando nell'Unione. Del resto Blair sa bene che un
ruolo di leader europeo di prima grandezza è molto
più importante di quello di "junior partner"
degli Stati Uniti».
Perché
nel suo volume si occupa poco della Cina, ritenuta da
molti analisti una seria minaccia alla supremazia
Usa?
«Ci vorrà ancora
molto tempo prima che valga la pena di prendere in
considerazione questa ipotesi. Attualmente la Cina è
una potenza regionale con una forza economica inferiore a
quella della California. Nel mio libro cerco di mettere a
fuoco un futuro più vicino a noi, rifletto sugli
scenari del prossimo decennio. Che sarà segnato dalla
rivalità tra Europa e America, mentre la Cina
continuerà ad avere un ruolo secondario e dovrà
aspettare almeno il 2025 prima di poter competere con altre
aree del pianeta decisamente più sviluppate».
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