Dio ammette la guerra giusta
di
MICHAEL NOVAK
, 11 febbraio 2003
I motivi per cui gli Stati Uniti faranno
la guerra a Saddam Hussein, se egli non adempierà ai
solenni impegni presi di rispettare l'ordine internazionale,
o non lascerà il potere, non hanno nulla a che vedere
con la nuova teoria della «guerra preventiva».
Al contrario, tale guerra rientra nellambito della dottrina
tradizionale della guerra giusta, in quanto questa guerra
è una conclusione legittima della guerra combattuta
e vinta in breve tempo nel gennaio 1991.
Allepoca, la guerra era stata interrotta anzitempo per
negoziare le condizioni di resa con lingiusto aggressore
Saddam Hussein. Al tavolo delle trattative di pace, le Nazione
Unite avevano insistito che, come condizione indispensabile
per rimanere alla presidenza dell'Iraq, Saddam Hussein doveva
(a) disarmare e (b) fornire all'Onu le prove dell'avvenuto
disarmo, rendendo conto in maniera trasparente di tutti gli
arsenali e sistemi d'arma in suo possesso. In particolare,
era stato ordinato a Saddam Hussein di distruggere le sue
scorte di iprite, sarin, botulina, antrace e altri agenti
chimici e batteriologici. Doveva anche dimostrare di aver
distrutto tutto il lavoro precedentemente compiuto per mettere
a punto armi nucleari.
Nei dodici anni successivi, nonostante ripetuti avvertimenti,
Saddam Hussein ha avuto la sfrontatezza di farsi beffe di
tali impegni. Alla fine del 2002, il Consiglio di Sicurezza
ha di nuovo intimato solennemente a Saddam Hussein di dimostrare
di aver rispettato tali impegni, ai quali era legato il suo
diritto di rimanere al potere, in base al diritto internazionale.
Ancora una volta, egli non ha fornito tali prove: anzi, il
suo comportamento è stato un'offesa continua per il
Consiglio di Sicurezza.
Nel frattempo, l'11 settembre 2001, in maniera improvvisa
e violenta una nuova guerra è stata lanciata contro
gli Stati Uniti - e contro tutto l'ordine civile internazionale.
È stata una guerra repentina e immotivata, legata a
un nuovo concetto strategico, quello della «guerra asimmetrica»,
che ha prospettato in una luce del tutto nuova il comportamento
di Saddam Hussein e ha centuplicato il pericolo che il Rais
rappresenta per il mondo civile.
Prima di approfondire questo aspetto, vorrei ricordare che
la autentica dottrina cattolica sulla guerra giusta, così
come è stata formulata da Sant'Agostino e da San Tommaso,
indicava con chiarezza il percorso logico che dovevano seguire
le autorità di governo che agivano nella loro veste
ufficiale, quando dovevano decidere se andare o non andare
in guerra. Inoltre, nel valutare tali eventualità,
il nuovo catechismo cattolico attribuisce la responsabilità
primaria non a lontani commentatori, bensì alle suddette
autorità di governo.
Tale attribuzione di responsabilità nasce da un duplice
motivo. In primo luogo, alle autorità di governo compete
il dovere d'ufficio e l'obbligo istituzionale primario di
proteggere la vita e i diritti del loro popolo. In secondo
luogo, in base al principio di sussidiarietà, sono
le autorità più vicine ai fatti in questione,
e - data la natura attuale della guerra a opera di reti terroristiche
clandestine - hanno accesso a informazioni estremamente riservate.
Ad altri compete il diritto e il dovere di esprimere il giudizio
della propria coscienza. Il giudizio definitivo spetta comunque
alle autorità di governo. «La valutazione di
tali condizioni di legittimità morale appartiene al
giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità
del bene comune». (Catechismo n° 2309).
Ricapitolando, la novità nella teoria della guerra
giusta nel ventesimo secolo è il concetto della «guerra
asimmetrica». Tale concetto è stato elaborato
da organizzazioni terroristiche internazionali che, per quanto
dipendano dall'assistenza clandestina degli Stati disposti
ad aiutarli in segreto, non sono responsabili nei confronti
di alcuna autorità di governo. Per dimostrare l'incapacità
dei governi democratici di difendere la vita dei loro popoli,
queste cellule terroristiche compiono attacchi sensazionali
contro civili innocenti. Verosimilmente, quanto più
drammatici e sanguinosi saranno gli attacchi, tanto maggiore
sarà la loro efficacia.
Questo nuovo concetto strategico, e le mutate condizioni tecnologiche,
culturali e logistiche che lo rendono attuabile, hanno provocato
da più parti la condanna morale di tali gruppi del
terrorismo internazionale come nemici del mondo civile. Il
Vaticano stesso ha pronunziato tale condanna dopo la strage
dell'11 settembre 2001.
Allorché divenne chiaro che il centro di comando e
il campo di addestramento principale degli autori della strage
dell'11 settembre si trovavano sotto la protezione del governo
taleban in Afghanistan, le autorità morali hanno riconosciuto
altresì che una guerra limitata e condotta con grande
attenzione per provocare un cambiamento di regime in Afghanistan
rappresentava un obbligo morale.
Nei mesi successivi, i servizi segreti hanno accertato che
i terroristi progettavano altri attacchi contro monumenti
famosi nelle capitali europee, fra cui Parigi, Londra e la
Città del Vaticano. Mesi dopo, gli attacchi contro
il Teatro dell'Opera a Mosca, alcune chiese cristiane in Pakistan
e una affollata discoteca in Indonesia hanno confermato la
dimensione planetaria di tale minaccia.
Tuttavia, nel caso dell'Iraq, Civiltà Cattolica
ha sostenuto di recente che la guerra sarebbe ingiusta, proponendo
la teoria che le motivazioni americane fossero legate al petrolio
iracheno: «Il motivo fondamentale sembra essere la posizione
geopolitica detenuta dall'Iraq in Medio Oriente, in quanto
uno dei tre principali produttori di petrolio e di gas naturale
(Iraq, Iran e Arabia Saudita)». (La rivista non dice
nulla di simile riguardo alle motivazioni di Francia, Russia,
Cina o altri paesi). Ma l'America ha motivi seri per fare
la guerra, ben più importanti del petrolio iracheno.
La considerazione fondamentale nel difendere l'interesse nazionale
è che, in un momento che non abbiamo scelto noi e con
modalità che non volevamo, l'11 settembre 2001 è
stata dichiarata contro di noi una guerra vera e propria,
nelle parole e nei fatti. L'aggressore non aveva un esercito
permanente i cui movimenti avrebbero potuto far intuire l'imminenza
di un attacco. Al contrario, l'attacco è giunto assolutamente
imprevisto, colpendo vittime innocenti in una calda e luminosa
giornata di settembre. Le armi utilizzate non erano armamenti
militari convenzionali, bensì aerei civili americani
carichi di combustibile per il lungo viaggio fino alla California.
I bersagli stabiliti - due grattacieli a Manhattan - non hanno
lasciato alle ignare vittime alcuna possibilità di
scampo.
I criteri normali accettati dai teorici della guerra giusta
non erano specificamente presenti: non c'erano stati né
movimenti di corpi militari convenzionali, né segni
visibili di un attacco imminente, né la voce ufficiale
di uno Stato-nazione ostile. L'orrore della catastrofe è
stato comunque immenso.
Con ogni evidenza, era stata lanciata una guerra internazionale.
I suoi autori la definivano una jihad internazionale, scatenata
non soltanto contro gli Usa, ma contro tutto l'Occidente,
anzi, contro tutto il mondo non islamico. (Il mondo aveva
già pianto per la distruzione degli antichi monumenti
buddisti in Afghanistan, una perdita incommensurabile). Nessuna
importante autorità morale ha incontrato difficoltà
a riconoscere che una guerra per prevenire questo terrorismo
di nuovo genere non soltanto è giusta, ma è
un dovere morale.
Che ruolo ha l'Iraq in questo quadro? Dal punto di vista delle
autorità di governo che devono calcolare i rischi di
un intervento - o di un non intervento - nei confronti del
regime di Saddam Hussein, i punti salienti sono due. Saddam
Hussein dispone dei mezzi per portare la devastazione e la
morte a Parigi, Londra o Chicago, o qualsiasi altra città,
a suo piacimento, gli basta trovare alcuni «fantaccini»
clandestini non identificabili per far arrivare su bersagli
prestabiliti piccole quantità di sarin, botulina, antrace
e altre sostanze letali. In secondo luogo, cellule terroristiche
indipendenti sono già state addestrate proprio per
queste missioni, e hanno sbandierato ai quattro venti la loro
intenzione di provocare tale distruzione, volentieri e con
gioia. L'unica cosa che manca ancora, fra questi due elementi
incendiari, è una scintilla che stabilisca il contatto.
Con i ben noti precedenti di Saddam, e il disprezzo che ha
ripetutamente dimostrato per il diritto internazionale, soltanto
uno statista imprudente, se non addirittura temerario, potrebbe
aspettarsi fiducioso che queste due forze rimarranno separate
per sempre. In realtà, potrebbero incontrarsi in qualsiasi
momento, in segreto, per uccidere decine di migliaia di persone
innocenti. \[...\]. In altre parole, esiste già una
probabilità fra 0 e 10 che le armi micidiali di Saddam
cadano nelle mani di al Qaeda. (Esistono anche altre ramificazioni
della rete del terrore internazionale).
Ragionevoli osservatori possono discettare se il rischio attuale
sia 2, 4, o 8. Ma una cosa è indiscutibile: coloro
che giudicano che il rischio è basso, e di conseguenza
permettono che Saddam rimanga al potere, avranno una spaventosa
responsabilità, se commettono un errore di valutazione,
e se in futuro si verificheranno attentati.
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