17 dicembre 1997 Don Franco Mosconi a Viboldone
Lo Spirito
Santo
Signore, Tu ci conosci e
ci ami. Eccoci davanti a te così come siamo, con le nostre difficoltà, con le
nostre paure. Ti ringraziamo perché ancora una volta ci accogli e ancora una
volta ci parli attraverso la Tua Parola. Grazie. Rendici capaci di
ascoltare e mettere in pratica il tuo insegnamento. Per Gesù Cristo benedetto
in eterno. Amen.
Il tema di fondo di quest'anno è lo Spirito
Santo. Lo Spirito Santo non è una moda, è una potenza attiva nella Chiesa e
nella storia dalla creazione. Incominciamo questa nostra riflessione - che non
sarà una lectio come siamo abituati normalmente a fare - leggendo qualche
versetto del famoso testo di Gioele. Il profeta Gioele al capitolo 3 parla
dell'effusione dello Spirito:
Dopo questo, io effonderò il mio
Spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre
figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni.
Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni effonderò il mio
Spirito. Farò prodigi nel cielo e sulla terra sangue e fuoco e colonne di
fumo. il sole si cambierà in tenebre E la luna in sangue, prima che venga il
giorno del Signore, grande e terribile. Chiunque invocherà il nome del
Signore sarà salvato, poiché sul monte Sion e in Gerusalemme vi sarà la
salvezza, come ha detto il Signore, anche per i superstiti che il Signore avrà
chiamati.
Questo è un testo, ma ne prenderemo in considerazione
diversi. Vorremmo oggi aiutarci a cogliere lo Spirito Santo come anima di tutta
la Scrittura. Per questo sarà una lectio un po' diversa dal solito. ~ non vuole
nemmeno essere una lezione cattedratica perché non sono professore. Rimane un
cammino di fede. Vedremo che c'è un filo luminoso dell'azione dello Spirito che
suscita, nutre, avvia con uno stimolo creativo incessante la nostra vita, e la
rende una liturgia.
Il Primo Testamento per manifestare lo Spirito usa il
termine "ruah", che in ebraico vuol dire respiro, vento, soffio, aria, alito.
Dio l'ha voluto usare per esprimere se stesso e la sua azione nel mondo, secondo
uno sviluppo sempre più chiaro.
Per capire sempre meglio questa potenza,
questa forza, questa energia vorremmo fermarci su quattro momenti, quattro
livelli di ricerca sulla manifestazione dello Spirito:
-
come forza
fisica
- come energia vitale, spirituale
- come realtà che si identifica
a Dio
- e poi, come un dono universale.
Inizialmente, la "ruah",
questo respiro, questo vento come forza fisica. Lo Spirito è un termine che
ci può sfuggire - non così il Figlio e il Padre, più aderenti alle nostre
esperienze - per questo parlare dello Spirito non è semplice. Il vento, il
respiro rimandano ad una forza, ad un movimento misterioso, non identificabile
nell'effetto, ma in colui che regge il vento, in colui che regge il respiro, in
colui che mette in movimento le cose. Nel libro dell'Esodo, al capitolo 10, 13,
leggiamo:
Il vento d'oriente soffia per tutto il giorno e la notte. Ed
ecco il vento d'oriente aveva portato le cavallette.
E, al capitolo
14, 21:
Un vento così forte che respinge il mare rendendolo
asciutto.
Si tratta del Mar Rosso. Questa "ruah" orientale quando
soffia porta sgomento, infonde panico. Il Salmo 48 dice:
Distrugge le
navi che solcano il mare,
cioè è un vento terribile, forte,
straordinario. Pensate al libro di Giobbe. Quando viene questo forte vento,
investe i quattro lati della casa che rovina sui figli di Giobbe, uccidendoli.
Se questa "ruah" investe,
l'uomo non esiste più, ogni sua traccia
viene cancellata (Salmo 103).
Nel libro dei Giudici Gedeone, Sansone,
sono raggiunti dalla forza della "ruah" di Dio che cambia le loro persone, le
abilita a compiere azioni che sono al di sopra del loro livello normale, delle
loro possibilità umane: al capitolo 6, 34:
Ma lo Spirito del Signore
investì Gedeone;
così pure al capitolo 14, 6:
Lo Spirito
del Signore - parla di Sansone - lo investì
e senza niente in mano
squarciò il leone come si squarcia un capretto.
Entrambi sono
raggiunti da questo vento, da questa "ruah" di Dio che cambia veramente la loro
persona. Cadde lo Spirito su questi uomini ed essi ricevettero un coraggio ed
una forza fisica da guidare un esercito, da lottare contro molti, fino a far
crollare un edificio intero, scardinando la colonna centrale come ha fatto
Sansone.
In questi primi dati c'è un primo significato base di
questa "ruah" di questa forza di Dio: è una energia che si stacca da Dio.
raggiunge persone e cose. Contro di essa l'uomo non può resistere. Pensate
al vento quando divide il Mar Rosso. Questo è un primo segno, una prima forza,
una prima indicazione.
Una seconda indicazione di questa "ruah" di
questa forza, è di carattere vitale e spirituale. Questa "ruah" divina,
Dio la partecipa all'uomo come respiro. Pensate a Genesi, alla creazione
dell'uomo. il soffio divino entra ed esce dall'uomo. Lo possiede, perché Dio
glielo dona.
Finché ci sarà in me un soffio di vita e l'alito di Dio nelle mie narici
(Giobbe 27). Il soffio di Dio mi ha creato, il soffio dell'onnipotente
mi dà vita (Giobbe).
C'è una curiosa identificazione tra la
"ruah" dell'uomo e la "ruah" di Dio. Sono una specie di fusione tra questi due
respiri. Ma lo Spirito vitale percepibile nel respiro, resta misteriosamente al
di là del respiro stesso. Quando lo Spirito di Dio cade invece su un profeta
e penetra il suo ambito affettivo psicologico prendendone possesso della sua
vita, questi diventa una persona in grado di conoscere, parlare, valutare col
discernimento e l'ottica stessa di Dio. Pensiamo a Geremia, quando si sente
investito da questa forza, da questo vento interiore che non riesce a contenere,
il profeta subisce una specie di "maggiorazione" di tutte le sue facoltà,
riuscendo ad esprimersi come Dio stesso. Il profeta è la bocca di
Dio.
E chi fa tutto questo? La "ruah", questo Spirito. E' gia un' impresa
interpretare perfettamente il linguaggio di un'altra persona, è davvero
impossibile fare questo nei confronti di Dio senza il suo dono. Quindi si
tratta, a questo punto, in questo secondo momento della "ruah" come forza
spirituale, è una visione più matura della precedente. Qui lo Spirito di Dio
è una energia che si stacca dalla sua trascendenza e raggiunge l'uomo. nella sua
realtà. nella sua immanenza. La persona raggiunta dallo Spinto resta
puramente a livello umano, anche se può compiere qualcosa che la supera, che va
al di là di lei.
Una seconda annotazione è che non sono molti coloro
che beneficiano di questo Spirito in termini carismatici. I profeti non sono
tantissimi. E' una caratteristica di pochi. Nonostante il desiderio di Mosè,
espresso nel libro dei Numeri:
Fossero tutti profeti nel popolo del Signore! E volesse il Signore
dare loro il suo Spirito.
Un terzo momento: la "ruah"
come realtà che si identifica a Dio. Al punto di arrivo di tutto l'Antico
Testamento - siamo al libro della Sapienza - notiamo che lo Spirito qui è
ancora una energia di Dio presentata da una serie di aggettivi di qualifiche.
alcune delle quali riguardano direttamente Dio.
E' uno Spirito Santo,
onnipotente, amante, sottile; basti ricordare tutta quella serie riportata nel
capitolo 7,22-23 della Sapienza:
In essa c 'è uno spirito
intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza
macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico
dell'uomo, stabile, sicuro, senza affanni, onnipotente, onniveggente e che
pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi.
C'è quasi
una coincidenza tra lo Spirito e Dio.
E infine c'è la "ruah" come dono
universale. Per una appartenenza esclusiva al Signore.
C'è il famoso
testo di Geremia che certamente è il testo più citato dal Nuovo
Testamento:
Geremia 31, 31-34:
Ecco verranno giorni, dice il
Signore, nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda concluderò
un'Alleanza nuova, non come l'Alleanza che ho concluso coi loro Padri,
un'Alleanza che essi hanno violato. Questa sarà l'Alleanza che io concluderò
con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore. Porrò la mia legge nel
loro animo. La scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il
mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri dicendo: riconoscete
il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il
Signore.
Poi il famoso Ezechiele 36, 22:
Vi darò un cuore
nuovo, metterò dentro di voi uno Spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di
pietra, vi darò un cuore di carne.
E poi il testo di Gioele che
abbiamo letto all'inizio. Cioè, seguendo l'evoluzione del Primo Testamento
la prospettiva del dono di Dio tende ad allargarsi fino a raggiungere
un massimo a livello messianico. Il testo appunto di Gioele che
abbiamo letto. Un brano che verrà ripreso da Pietro il giorno di Pentecoste, per
interpretare proprio il dono dello Spirito:
Dopo questi giorni verserò il mio Spirito sopra ogni
persona.
Ogni persona diventa potenzialmente destinataria
dello Spirito. Il carisma della profezia sarà universale. Noi siamo un popolo
profetico.
I vostri vecchi avranno sogni, i giovani
visioni.
Questa frase ha un significato psicologico preciso:
in genere sono i giovani che sognano il futuro, mentre sono i vecchi che
ritornano con visioni retrospettive al passato. La presenza dello Spirito cambia
completamente la situazione di ciascuno. Al giovane dona l'esperienza
sapienziale dell'anziano, al vecchio dona il dinamismo giovanile sempre
creativo. Lo Spirito cambia la situazione di ciascuno. Cioè permette un altro
tipo di vita. E qui bisogna veramente credere a Geremia 31, 31-34, a Ezechiele
36, 26-27 e anche a Zaccaria 12,10:
Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di
Gerusalemme uno spirito di grazia e di
consolazione...
Sono testi che permettono dì approfondire
maggiormente questa prospettiva messianica, raggiungendo ogni persona. Lo
Spirito non solo crea un dinamismo nuovo, ma opera una creazione nuova, con un
principio interiore di vita morale, scriverà una legge nuova con gli stimoli e i
suggerimenti che lui stesso darà. Quindi dopo un lento cammino di conversione
e ripetuti ritorni al Signore, fra tante infedeltà e ribellioni, il popolo
messianico futuro riceverà un'effusione dello Spirito Santo tanto da divenire
pienamente popolo di Dio. Ma anche per essere uomini e donne di Dio che vivono
in totale e completo affidamento al Signore un'offerta di vita, è indispensabile
che lo Spirito dell'uomo così fragile, incostante, venga trasformato, in qualche
modo venga sostituito dallo Spirito di Dio. E' lo Spirito che spinge verso la
nuova Alleanza, verso una stabile, profonda e irreversibile appartenenza
reciproca fra Dio e l'uomo, fra Dio e il suo popolo.
Noi riconosceremo
Javhè ed egli perdonerà i peccati, dice Geremia.
In questa
prospettiva, lo Spirito è il segno che Javhè riprenderà in mano la storia, sarà
un ritorno di salvezza sorprendente, come ai tempi dell'Esodo. Tutte le
lontananze da se stessi, dall'uomo e da Dio saranno eliminate, perché non
seguiremo più le nostre riduttive autonomie, la vita ormai sarà senza idoli e
nel nostro cuore dominerà questa presenza purificata dalla
conversione.
Una prima conclusione da questi quattro
momenti: c'è una linea evolutiva molto chiara.
Lo Spirito di Dio
avvertito all'inizio come forza - partendo dai presupposti dicevamo
all'inizio che il Padre è il Padre, il Figlio è il Figlio, lo Spirito... a volte
rimaniamo un po' perplessi sul come concretizzarlo - viene percepito in
seguito come senso dell'esistenza. come vera sapienza che accoglie Dio grazie a
un modo nuovo di progettare! di decidere. C'è una fedeltà e una semplicità,
sarà il principio di una continua conversione, non ancora del tutto
percorsa:
- non un
possedersi, ma un perdersi
- non una gestione della propria vita con le sue
delusioni, ma un consegnarsi mossi dallo Spirito per essere
salvati
- non un dono
riservato a pochi, ma la condizione di tutti coloro che partecipano
all'universale effusione dello Spirito.
Questi, in sintesi, i punti di
arrivo del Primo Testamento. Questo sarà il punto di partenza della riflessione
nel Nuovo Testamento. Che non può non tener conto di tutta questa storia che poi
noi abbiamo solo accennato, in alcuni momenti.
Adesso, passiamo al
Nuovo Testamento.
Una prima indagine sulla ricorrenza della voce - che
nel testo ebraico è la parola "ruàh", nel testo greco è "pneuma" - ci fa capire
come nel nuovo Testamento sia Paolo l'autore che più di ogni altro si occupa
dello Spirito Santo. Paolo utilizza la parola "pneuma" 139 volte, seguito da
Luca che, tra Vangelo e Atti, usa la parola 109 volte. Perché partiamo da
questa pista paolina? Anche perché Paolo è un ebreo, Paolo è un credente che non
è nato soltanto sulla via di Damasco. Paolo si era formato alla molteplice
ricchezza della sua tradizione ebraica, negli anni giovanili, presso la scuola
di Gamaliele, poi nella Sinagoga, poi nel movimento liturgico che trovava il suo
punto di riferimento ideale nel tempio. Cioè Paolo ci aiuta a fare una sintesi
di quella che è la ricchezza dell'antico Testamento, da lui trasferita nel
Nuovo. Consapevole di questo cammino spirituale, Paolo rielabora il punto di
arrivo dell'Antico Testamento riguardo allo Spirito, a partire dal contatto vivo
con l'esperienza cristiana. Cioè, nella prospettiva dell'Apostolo, lo Spirito
appare subito come l'energia, il dinamismo stesso di Dio, la sua via e i suoi
valori concentrati e offerti, in Cristo morto e risorto, a tutti gli
uomini. Direi che proprio questa è già una sintesi, è già una risposta. Nella
prospettiva dell'Apostolo, lo Spirito appare come una energia che ci fa rendere
conto che si tratta di una cosa reale, concreta, non evanescente; lo Spirito,
per Paolo, è un'energia, è il dinamismo stesso di Dio, la sua vita, i suoi
valori, offerti a tutti gli uomini attraverso Cristo morto e risorto. Questo
dono si fa Vangelo, così che lo Spirito operante in esso raggiunge tutti,
abilitando a condurre una vita di pienezza cristologica, al di sopra delle
normali possibilità. E' questa energia che ci rende veramente figli.
Noi abbiamo consapevolezza, fratelli amati da Dio, che siete stati
eletti da lui Il nostro Vangelo si è diffuso tra voi non soltanto per mezzo
della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo (1 Tess., 1,
4-5).
E, nel suo annuncio, la Parola - dice Paolo - determina
tre esperienze:
- la Parola contiene la forza della resurrezione
- lo
Spirito Santo posto in posizione di centralità,
- una pienezza progressiva,
cioè c'è una maturazione progressiva.
Il Cristo annunciato ed
espresso nel Vangelo non è un concetto, ma la persona stessa di Gesù morto e
risorto che agisce e dona il meglio di sé proprio nello Spirito. Esso, accettato
ed assimilato, diventa in noi la forza viva della resurrezione, capace di
costruire una pienezza abbondante e progressiva. Nello Spirito abbiamo cioè come
il condensato della morte e resurrezione di Gesù, in grado di esprimere la
vitalità stessa di Dio, mettendo in moto un processo di cristificazione che
costituisce la pienezza del credente, con l'abbondanza continua e progressiva
della vita di Cristo trasfusa in noi dall'azione dello Spirito operante nel dono
del Vangelo.
Qui noi capiamo allora cosa vuol dire fare una lectio divina
quotidiana, celebrare un'Eucaristia su questa abbondanza continua e progressiva
della vita di Cristo trasfusa in noi dall'azione dello Spirito operante nel dono
del Vangelo.
Queste cose che Paolo trasmette alle sue comunità, lui le ha
vissute e le vive. Queste realtà che Paolo ha connotato a livello comunitario
vengono poi trasferite su un piano personale in cui emerge moltissimo la
dimensione della totale dedizione al Vangelo. Così Paolo si
esprime:
mi è testimone Dio, al quale io rendo culto nel mio Spirito annunziando
il Vangelo del Figlio suo, con quale costanza ininterrotta io mi ricordo di
voi nelle mie preghiere (Rm. 1, 9).
Cioè Paolo vive una
preghiera ininterrotta che prende forma di culto e che ha per contenuto la
stessa evangelizzazione. E' un tutt'uno per lui la preghiera e
l'evangelizzazione. Tutto quello che egli vive e fa trova risonanza profonda nel
suo spirito, nella sua interiorità abitata dal Vangelo. Quello che appare nella
sua vita è solo l'affiorare di una unità profonda della sua persona, di ciò che
è, di ciò che fa, senza dissociazione, senza dispersione. Tutta la sua
esistenza, potremmo dire, è una specie di liturgia. Egli si consegna in
obbedienza a Dio con tutte le sue risorse, mentre lavora e diffonde il Vangelo.
Per lui il Vangelo è l'amore stesso di Dio che in Gesù si autoconsegna. Non si
può annunciare altrimenti che nell'amore e nella autodedizione. Non è un
mestiere l'evangelizzare. Cioè il Vangelo porta dentro questa esigenza di dono
di sé fino a dare la vita.
La prima lettera ai Tessalonicesi (1 Te ss.
2,6-7) dice i sentimenti con i quali Paolo parla della sua
evangelizzazione:
E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi
né da altr4 pur potendo far valere la nostra autorità di Apostoli di
Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e
ha cura delle proprie creature...
Cioè il compito sacerdotale di
Paolo non consiste solo nel trasformare i pagani in oblazione a Dio (come dice
nella lettera ai Romani), ma nel rendersi protagonista in prima persona di un sì
che lo consegna in offerta e questo impegno scaturisce dal contatto vivo col
Vangelo per il quale Paolo è a servizio. E' un coinvolgimento che diventa
chiamata a vivere in stato di offerta, resa possibile dal dinamismo stesso del
Vangelo. Vorrei dire che la sacerdotalità di Paolo non è un fatto funzionale o
rituale, è tutta la sua vita che viene coinvolta.
E qui adesso tocchiamo
un momento molto interessante, sempre partendo dalla esperienza di quest'uomo,
che, come formazione, viene dal Vecchio Testamento: la vita come tempio dello
Spirito che irradia Dio.
Il Paolo cristiano, pur avendo superato il
contesto del tempio, mostra di riferirsi volentieri a questa esperienza della
sua vita di ebreo. Teniamo presente cos e ancora oggi il tempio per un ebreo: la
sua frequentazione, scandita dalle feste annuali, dà la possibilità di
approfondire il senso del culto, il posto che doveva occupare nella vita dei
fedeli ebrei, tutte le volte che andavano al tempio c'era un motivo. Cioè
l'esperienza del tempio gli ricordava la possibilità di venire in contatto con
Dio faccia a faccia. Era un momento qualificante in cui tutta la sua vita ne
traeva beneficio; l'uomo usciva dalla sua profanità usuale e Dio gli si faceva
incontro nella sua trascendenza e dal tempio l'uomo, il popolo, ritornava
rinnovato per vivere meglio i suoi impegni. Questo legame, questo impatto con
Dio col quale rinnovava la sua Alleanza poi lo portava a vivere diversamente
nella storia. E questo, anche se, purtroppo, pure nell'Antico Testamento il
tempio era diventato un'abitudine, come lo ricordano certe stangate di Geremia e
di Isaia:
Inutile dire tempio del Signore tempio del Signore se poi non lo
vivete!
Cioè anche a quei tempi c'era il rischio di
incontrarsi in modo formale, disimpegnato. Però partiamo da questa
esperienza.
Paolo, ad un certo momento, al tempio sostituisce il Cristo.
Paolo, incontratosi con Cristo, saldatosi a Lui, trasferisce in modo ardito
tutti i valori, tipicamente sacrali del tempio, a Cristo. Cioè l'incontro con
Dio nel nuovo e definitivo tempio ora avviene in Cristo. E da Lui si partecipa a
tutta la vita umana. L'apostolo usa la terminologia tipica del tempio, del
culto e la riferisce alla vita del cristiano (1 Cor, 3,16):
Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in
voi?.
A Corinto Paolo invita a prendere coscienza di questo
legame realizzatosi con Cristo nel Battesimo, invita ad approfondirlo in tutti i
dettagli mediante la legge dello Spirito che, con la sua presenza, ormai
suggerisce, stimola tutta una serie di comportamenti che realizzano davvero una
reciprocità con Cristo. Forse non riusciremo mai a capire fino in fondo il senso
della presenza del dono battesimale, questa legge nuova dello Spirito. La
persona nella sua dimensione anche corporea, appare all'Apostolo sotto una
concezione più profonda più impegnativa. Egli dice:
il corpo non è
fatto per I 'impudicizia, ma per il Signore e il Signore per il corpo (1
Cor. 6, 13).
Cioè il corpo, il nostro corpo è colto sempre più come
concretezza relazionale della persona salvata da Cristo, unita a Lui nella
partecipazione vitale della resurrezione. Dio ha risuscitato il Signore e
risusciterà anche voi.
Non sapete che i vostri corpi sono membra di
Cristo? (1 Cor. 6, 15)
Cioè, la presenza dello Spirito diventa la
norma che ci insegna ad applicare in ogni situazione le scelte tipiche di Cristo
che hanno segnato in termini oblativi, di compiacenza al Padre, tutte le sue
relazioni. Quindi la presenza dello Spirito crea lo stesso contesto filiale di
Gesù verso il Padre, lo crea anche dentro di noi.
Affrontare con questa
prospettiva precisa la nostra corporeità significa saper esprimere con
creatività, con intelligenza, tutti i valori tipicamente divini vissuti da
Cristo. E Paolo con molta radicalità traccia un imperativo sintetico di questa
realtà dicendo:
glorificate Dio nel vostro corpo (1 Cor. 6,
20).
Cioè dà molta importanza anche a questa nostra corporeità. In altre
parole: fate di tutto per irradiare, donare, riesprimere la vita tipica di Dio,
perché la vostra vita è una progressiva divinizzazione offerta a voi in Cristo e
ora suggerita come dimensione possibile a voi nello Spirito. Tutto questo
dovrà avvenire senza intermittenza. Non ci sono realtà, situazioni, in cui
questo non possa realizzarsi, ecco perché per Paolo tutta la vita è un'offerta
liturgica che nasce dal dono di Cristo e che nello Spirito diventa in noi dono
agli altri e a Dio.
"Sia dunque che mangiate o che beviate, sia che
facciate qualunque altra cosa, fate tutto a gloria di Dio" (1 Cor.
10).
Nell'esistenza compenetrata da Cristo e dallo Spirito tutto viene
recuperato all'azione trasformante dello Spirito in maniera profonda, non
generica. Direi, nella vita abituale della persona, anche nei tempi più feriali
e più banali si svolge la funzione propria del tempio, cioè dare lode a Dio. La
nostra vita deve dare lode a Dio attraverso il nostro comportamento, essere il
suo tempio in cui si compie l'offerta della vita:
Per me, infatti, il vivere è Cristo e il morire un guadagno (Fil. 1,
21).
Vorrei che ne capissimo veramente la ricchezza. A volte non
ne siamo consapevoli. Plasmati interiormente dallo Spirito - che possiamo
assorbire dalla Parola, dall'Eucaristia, dalla preghiera personale, anche dal
silenzio - che traduce la ricchezza di Cristo in esigenza di vita, il cristiano
può affermare con sconcertante semplicità, come dice Paolo: la mia vita è
Cristo,
non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me (Gal. 2,
20).
Ecco la sintesi che Paolo fa attraverso la sua formazione
anticotestamentaria e dopo l'incontro con Cristo. E' Cristo l'io dinamico
e progettante della nostra vita e guai se non è Lui.
In Romani 6, 1 - 11,
Paolo traccia una dettagliata serie di conseguenze della vita in Cristo risorto
accesa dal Battesimo:
Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel
peccato perché abbondi la grazia? E' assurdo! Noi che siamo morti al peccato,
come potremo ancora vivere nel peccato? O non sapete che quanti siamo stati
battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del
battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché, come
Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi
possiamo camminare in una vita nuova Se infatti siamo stati completamente uniti
a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua resurrezione.
Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché
fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato.
Infatti, chi è morto, è ormai libero dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo,
crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non
muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua
morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora, invece, per il fatto che
egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma
viventi per Dio in Cristo Gesù.
Gesù ha veramente passato la sponda
della fragilità con la sua morte, non è più raggiungibile da nessuna potenza
negativa, egli ormai è nella sfera del Padre e Paolo intravede ormai la
possibilità personale di arrivare anche lui alla stessa meta, di passare
all'altra sponda. Cioè Cristo morto e risorto non è più in preda di alcuna
violenza distruttiva, ora vive la piena vita della resurrezione completamente
orientato a Dio. La vita di resurrezione è sentita dall'Apostolo come
capacità sovrana di sfuggire ai messaggi negativi del male e come possibilità
positiva di attuare ormai una vita di relazione dinamica nell'amore. Quindi la
vita di Gesù risorto ripensata da Paolo è una vita che si tende in offerta
incessante e riconoscente al Padre. E il quadro ideale tracciato da Paolo
viene tradotto subito in conseguenza pratica anche per noi. Egli non tarda a
dire:
Così anche voi reputate voi stessi come morti definitivamente al
peccato -
cioè completamente indifferenti, irraggiungibili da ciò che è
negativo
e viventi davanti a Dio in unione a Cristo Gesù (Rm. 6,
11).
Dice: pensatevi come non esistenti di fronte a qualsiasi risucchio
del male, indifferenti alle sue proposte, come morti, pensatevi come morti al
peccato. Sentitevi invece persone vive attratte da una relazione che vi dilata,
vi consegna nell'amore. Impegnatevi al massimo in questa vita di relazione che
sta approfondendosi e maturando dentro di voi grazie alla saldatura con Cristo
morto e risorto. Quindi muovetevi e sviluppatevi in questo suo spazio vitale,
legati a lui da un intreccio che diventa comunione profonda, stimolo incessante
di una personalità che ormai si orienta decisamente verso Dio.
Sembra
dire Paolo: imparate ad assimilare l'orientamento di Gesù al Padre, la sua
docile obbedienza, cioè consegnatevi come persone vive a lui. Ogni esproprio che
favorisce questa direzione vi sembrerà allora un guadagno. E qui c'è il famoso
testo di Filippesi 3, 7-11, quando Paolo fa un po' la storia della sua
vocazione, con tutte le sue prerogative; ma di fronte alla sublime conoscenza di
Cristo tutto è spazzatura:
Ma quello che poteva essere per me un
guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io
reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio
Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come
spazzatura, alfine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una
mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in
Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo
perché io possa conoscere lui, la potenza della sua resurrezione, la
partecipazione alle sue sofferenze, diventando gli conforme nella morte, con la
speranza di giungere alla resurrezione dai morti.
Quindi imparate ad
assimilare l'orientamento di Gesù al Padre, la sua obbedienza docile. Vi
consegnerete come persone vive a lui. Se lascerete a Cristo e allo Spirito il
protagonismo della vostra vita, conoscerete la vostra vera identità, quella che
riempie, quella che appaga fino in fondo, quella che vive davanti a Dio senza
divisioni, senza dispersioni, radicalmente e totalmente, cioè conoscerete la
maturità di un incontro che vi fa restare davanti a Dio Padre con la capacità,
la profondità, la vitalità propria dell'amore di Cristo.
E qui Paolo ci
vuole portare a vivere la medesima esperienza di Gesù.
Allora giustamente
qui ci sarebbe tutto un discorso da fare sulla lettera ai Romani, lo accenniamo
brevemente.
Lo Spirito riscrive nel discepolo il contesto filale di
Cristo: è il messaggio di fondo della lettera ai Romani. Cioè, nella relazione
irreversibile stabilitasi tra il credente e Gesù morto e risorto, Dio fa dono
all'uomo del suo Spirito. Così che sotto lo stimolo di questo Spirito
rigeneratore, l'uomo può accedere ad un contesto filiale. Cioè lo Spirito con la
sua presenza attiva si comunica come legge; l'unica legge del credente è la
docilità allo Spirito. Questa nuova legge prende la funzione pedagogica
dell'antica legge e non si tratta di pure notificazioni che lasciano l'uomo
nell'incapacità di tradurle. All'uomo che si apre al Vangelo e al Cristo viene
offerto un contesto più valido: la stessa vita filiale di Cristo con la sua
forza di spinta per realizzare il volere di Dio e pareggiare il suo sogno
sull'uomo. La presenza dello Spirito come legge, come funzione pedagogica
originale, insegna a recepire, a tradurre tutto il contesto filiale di Gesù con
una paziente e importante concretizzazione. Cioè lo Spirito traduce l'intera
ricchezza di Cristo in suggerimento, in proposte da attuare giorno per giorno,
occasione per occasione, facendoci intravedere anche le vie applicative,
fornendoci le forze necessarie a vivere una vita contemplativa, una vita
monastica - che è fatta di preghiera, di studio e di lavoro - in un contesto
creato da suggerimenti e proposte per attuare ogni giorno questa ricchezza, un
contesto filiale che ci traduce dentro di noi tutto il contesto filiale di
Gesù.
E' la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù (Rm.
8,2).
Coloro che si fanno guidare dallo Spirito di Dio, costoro sono
figli di Dio (Rm 8, 14).
Lo Spirito stabilmente presente
nell'interiorità dell'uomo come il suo vero io profondo che lo guida, che lo
rende partecipe della capacità esecutiva di Cristo, che realizza
progressivamente una affinità omogenea ai valori tipici del Risorto.
Non
so come ridire tutte queste cose.
Il credente da parte sua prende sempre
più coscienza di possedere lo Spirito di Cristo, di appartenergli. L'effetto che
se ne ricava è veramente quello di diventare figli di Dio realmente. Cioè lo
Spirito, guidandoci, ci palesa una nuova condizione personale, un nuovo stato di
vita, forse ancora iniziale a partire dal Battesimo e che un giorno diverrà
condizione di pienezza escatologica. E' una vitalità dinamica, non c è una
vitalità cristiana statica, non c'è una vita monastica statica. E' un cammino
continuo come quello dei pellegrini; c'è questo continuo stimolo dello Spirito.
Noi siamo portati ad una trasfigurazione progressiva. C'è una pienezza che ci
appartiene, ma che ha un inizio e che deve crescere.
Riceveste uno
Spirito di adozione filiale con il quale gridiamo Abbà, Padre mio,
non uno
spirito di servitù. Lo Spirito crea una vera e propria trasformazione diciamo
pure "ontologica" della mia esistenza. L'effetto più vistoso sta nel
superamento della prassi di obbedienza appiattita, formale, che rischia di
relegare un discepolo ancora ad un livello di immaturità religiosa. Lo Spirito
crea il passaggio da una specie di condizione impersonale fatta di lontananza
non colmabile, ad un rapporto di esperienza qualitativamente unica che è
l'adozione filiale che mette in contatto con il Padre.
Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo che grida:
Abbà.
Quindi ricevo un coinvolgimento diciamo pure
trinitario. E' questo un cammino di libertà tipico della vita che possiedono i
figli di Dio. Una libertà che irrompe sotto la spinta dello Spirito il quale ci
insegna a confrontarci con la vita del Signore risorto. E, presi nel giro
unificante di quella vita, siamo trasformati in quella medesima immagine di
gloria in gloria. Quindi nella comprensione globale della vita, sotto l'influsso
dello Spirito, nasce e fiorisce per Paolo la vita di resurrezione che, dalla
situazione presente, ci porterà alla pienezza futura, ma che costituisce anche
la nostra offerta a Dio, cioè trasforma la nostra vita in una
liturgia.
Il discorso non è semplice. Voglio soltanto concludere con un
accenno a un testo di Giovanni, come complemento. E di Giovanni tenete presente
il testo della Samaritana: Gv. 4, 23-24, il dialogo tra Gesù e la samaritana al
pozzo, dove narra la promessa più sublime offerta all'uomo. Gesù accetta questa
donna così com'è, le parla, le mostra fiducia, le offre il suo dono, la vita e i
valori gestiti e animati dallo Spirito. Con la spinta interiore dello Spirito i
valori tipici di Gesù vengono ricreati nella interiorità dell'uomo; è questa
spinta, questo stimolo a far crescere la vita eterna già ora nello spirito
dell'uomo.
Ad un certo punto questa donna è interessata:
se tu sapessi qual è il dono di Dio!
E gli pone una
domanda, non è per nulla evasiva. In pratica, cosa chiede? Come si può venire a
contatto con Dio? Come trovare la spinta per migliorare la propria vita? Secondo
la mentalità ebraica tutto questo era attuabile al tempio - il discorso che farà
Paolo, che poi trasforma in Cristo - ma quale? Garizim? Gerusalemme? cioè il
tempio per questa donna era il luogo determinante per incontrare Dio, uscire
dalla propria fragilità. Ed ecco la risposta di Gesù.
Credimi
donna, cioè prendimi sul serio, vuol dire, prendi sul serio quello che sto
per dirti: sta venendo l'ora in cui sarà sempre più chiaro che né in questo
luogo né in Gerusalemme adorerete il Padre.
E' una frase di per sé
rivoluzionaria. E' finito il tempo in cui il popolo di Dio fa perno sul Garizim.
il punto di contatto che qualifica la vita religiosa è un
altro.
Ma verrà l'ora ed è adesso in cui gli adoratori veri,
adoreranno Dio come Padre nello Spirito e nella verità. Il Padre infatti cerca e
vuole questo tipo di adoratori.
La frase di Gesù si apre con un
ma:
ma verrà l'ora ed è adesso.
Questo crea
una specie di separazione con ciò che c'era prima. Ciò che ha inizio adesso è
veramente nuovo ed è proiettato in un futuro che lo renderà ancora più evidente,
questo nuovo riguarda l'adorazione del Padre, il contatto vivo e purificante tra
l'uomo e il Padre e la prima nota di questo contatto è che Dio va incontrato
come Padre con fiducia e abbandono, al di là di ogni luogo e spazio. Non è
questione di luogo, ma è questione di relazione. E questa può avvenire ovunque,
a condizione che sia sostenuta dal messaggio rivelativo che comunica la vita
stessa del Padre, il suo amore, la verità. A condizione ancora che la
Rivelazione venga applicata alla nostra vita attraverso la vitalità e il
dinamismo, la forza intelligente dello Spirito. Questo mi pare la spiegazione e
la risposta più chiara.
Allora, come si può arrivare a questo contatto a
questa adorazione? La prima nota di questo contatto è che Dio va incontrato
come Padre, quindi con fiducia e abbandono, al di là dei luoghi e degli spazi,
né sul Garizim, né a Gerusalemme, non è questione di luogo, ma è questione di
relazione. E questa può avvenire ovunque, però a condizione che sia sostenuta
dal messaggio rivelativo della Scrittura, della Parola di Dio che comunica la
vita stessa del Padre, il suo amore, la verità e a condizione ancora che la
Rivelazione venga applicata alla nostra vita attraverso la vitalità, il
dinamismo, la forza e l'intelligenza dello Spirito. Chi vuol raggiungere il
Padre deve farsi permeare dalla verità di Cristo, dalla sua vita partecipata a
noi, applicataci attraverso la mediazione pedagogica dello Spirito che ci indica
le vie concrete per assimilarla, dandoci la forza necessaria. E' lo Spirito che
ci porta, ci introduce verso questa verità piena e completa. I veri adoratori
così incontrano Dio come Padre, purificando e migliorando il proprio contesto di
vita.
Ciò che mette in reale contatto col Padre è la vita di Gesù
assimilata nella forza dello Spirito. Una vita che diventa tutta omogenea al
Padre per la compresenza della vita di Cristo. E' il ruolo attivo dello Spirito.
Tutto questo perché il Padre è lo Spirito, non nel senso che si confonde, ma
perché ha lo stesso contesto di vita, è la stessa vita pur nella distinzione
delle persone. Il Padre è lo Spirito nel senso che lo fa essere, lo dona e
attraverso di esso si manifesta.
La diversità e la molteplicità con cui
lo Spirito Santo viene in contatto con la nostra vita rende complessa una
schematizzazione riassuntiva, ma è proprio questa molteplicità a dare all'azione
dello Spirito la freschezza, la capacità coinvolgente; qualsiasi astrazione
finirebbe per essere una riduzione. Un Dio che raggiunge l'uomo mediante lo
Spirito che è la sua stessa forza, il suo stesso amore dinamico, intraprendente.
Nel Vangelo di Dio e di Cristo questo dono si intensifica e raggiunge
potenzialmente tutti provocando un movimento ascendente di vita che al suo
culmine rende ognuno di noi familiare a Dio, omogeneo a Dio, della stessa pasta
di Dio. Questo contatto di vita affine a Dio, abilita la nostra vita a vivere
quegli atteggiamenti di affidamento pieno, di dono, di dialogo incessante,
tipici della vita di Gesù. E' qui che ci vuol far arrivare.
Il discorso
della omogeneità, questo contatto di vita proprio affine a Dio, abilita la
nostra vita a vivere quegli atteggiamenti di affidamento pieno, di dono, di
dialogo incessante, tipici della vita di Gesù, per cui la vita, le relazioni,
tutto quello che facciamo nelle nuove condizioni assumono un
significato profondamente nuovo, capace di irradiare Dio, di lodarlo, di amarlo
senza intermittenza. Così la nostra vita diventa una liturgia perenne, un
ringraziamento.
E l'anima di tutta questa prospettiva è lo
Spirito, che plasmando interiormente i lineamenti di Cristo in noi, che non sono
tanto quelli somatici, ci inserisce nel dialogo stesso che Gesù ha con il Padre
e nel suo dono agli uomini.
Capite allora il senso tradizionale della
verticalità e dell'orizzontalità. Cioè ci inserisce in questo dialogo stesso che
Gesù ha con il Padre e nel suo dono agli uomini. E' un'offrirsi spezzandoci per
gli altri. E lo Spirito è questa legge nuova, questo principio rigeneratore
della liturgia perenne che prolunga nella storia e nel tempo la vita filiale di
Cristo Risorto fino a che egli venga.
Chiudo con una frase della prima
lettera di Pietro che è una frase consolante, anche se può essere un po duretta,
detta da Pietro:
Beati voi se siete oltraggiati per il nome di Cristo, perché lo Spirito
della gloria, lo Spirito di Dio riposa su di voi (1 Pt. 4,
14).
Sembra una contraddizione, ma beati voi se siete
oltraggiati per il nome di Cristo perché lo Spirito di Dio riposa su di voi.
Sembra dire che l'esperienza dello Spirito è quell'esperienza dell'amore che
qualche volta si esprime proprio nell'essere oltraggiati. Cioè l'esperienza
dell'amore crocifisso, questa a volte abissale tenebrosità dell'abbandono, della
solitudine. Là dove la Croce è più insopportabile, proprio perché è la Croce di
Cristo, ivi più palesemente il cristiano sperimenta nel più profondo di sé la
presenza beatificante dello Spirito.
C'è una beatitudine, perché dietro a
questo oltraggio c'è anche lo Spirito di Dio che riposa su di noi.
Ecco
erano alcune cose che si potevano dire nell'anno in cui tutti ci parlano di
questo Spirito, partendo, prima, da alcune note dell'antico Testamento come
energia e come forza, e vedendo, poi, come Paolo che viene da quella formazione,
ha saputo trasferire nel Nuovo Testamento sinteticamente questa energia e questa
forza che è viva e operante anche in noi in questo momento, mentre cerchiamo
assieme di capirci qualcosa, e della Parola e di quello che sta avvenendo dentro
di noi. Paolo non dice se non quello che sperimenta lui e la sua
comunità. E' ciò che la Chiesa continuamente deve sperimentare, attraverso la
Parola che ci trasmette tutta la ricchezza, tutto il dinamismo di Cristo morto e
risorto.
Don Franco Mosconi Eremo di San Giorgio,
Bardolino (Verona)
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